Pelagici in light tackles!

postato in: Blog | 0

Ci stiamo lasciando alle spalle un’estate caratterizzata da un lungo periodo di alta pressione, diffusa assenza di venti e di precipitazioni, che hanno determinato un considerevole aumento della temperatura atmosferica e dei mari.
Queste condizioni si sono sommate alla scarsa attività ed apatia dei predatori costieri, che normalmente li caratterizza in questo periodo.

Mentre scrivo questo articolo posso supporre che, all’intensità dell’estate, seguirà una stagione autunnale più lunga del solito e ricca di sorprese.
Ciò mi stimola ad approfondire una delle pesche più divertenti, che pratico nel tardo periodo estivo, quando si avvicinano alle nostre coste alcuni pelagici, che adoro insidiare in light tackles.

Con l’avvicinarsi della stagione autunnale, le prime piogge e le prime mareggiate rimescoleranno le calde acque del periodo estivo. Dagli strati più profondi saliranno elementi nutritivi e si riattiverà tutta la catena alimentare. Lampughe e altri pelagici saranno portati ad avvicinarsi al sotto costa.
Anche se l’idea di localizzare dei pelagici può spaventare, per via delle caratteristiche di pesce migratorio e non stanziale, la natura e qualche opera dell’uomo ci aiutano in questo compito.


Pontili, frangiflutti, boe, piattaforme e non per ultime le FAD (fishing aggregator device) sono tutti ottimi spot dai quali iniziare la ricerca di questi predatori. Poi le secche rocciose e i rialzamenti del fondale: vi si creano quei giri di corrente molto interessanti dove concentrare le nostre ricerche, con l’aiuto di un ecoscandaglio. Per i più intraprendenti e fortunati navigatori e cacciatori di mangianze, ci sono anche i relitti galleggianti: tronchi portati da fiumi in piena o vecchie FAD alla deriva e qualsiasi cosa che possa aver creato “ombra e rifugio” raccogliendo tutto ciò che hanno incontrano sulla loro strada. Vere oasi nel deserto di blu: relitti pullulanti di vita, foraggio e micro organismi, che attirano una grande varietà di predatori.
Questi sono i miei spot preferiti, perché li incontri una volta sola e perché, essendo in costante movimento, mantengono i predatori sempre attivi.
Attenzione però, perché non tutti i relitti galleggianti alla deriva sono attrattivi per i predatori. Lo sono quelli che hanno passato più tempo in mare e che sono stati colonizzati da tutta una serie di organismi che ne rivestono completamente la parte sommersa.

In ognuno di questi spot, fissi o alla deriva, il mio approccio non cambia: mi avvicino silenziosamente mantenendomi alla distanza di lancio con l’esca che intendo utilizzare. Non essere invasivi e non disturbare i pesci è la cosa più importante per la riuscita di una buona pescata.
I pelagici che si possono incontrare in questi spot artificiali sono vari: lampughe, e carangidi, incluse piccole ricciole, sono i più comuni, poi i pesci balestra e a volte le piccole cernie, che adorano stazionare sotto questi “letti d’ombra” e rifugi ricchi di cibo. La stessa fauna ittica si trova anche pescando a ridosso di relitti galleggianti alla deriva, con l’unica eccezione di potersi imbattere nei divertentissimi e famelici pesci pilota.

Tutti questi particolari predatori, nonostante non siano pesci stanziali come serra e barracuda portuali, tendono ad assuefarsi velocemente alle esche utilizzate. Il numero delle catture inevitabilmente cala con il passare del tempo. Per questo motivo io preferisco sempre iniziare pescando in top water, utilizzando piccoli popper, wtd e skipping lures. Trovo che sia la tecnica più divertente: frenetici e adrenalinici inseguimenti in superficie da parte delle lampughe, che si difenderanno con evoluzioni e salti acrobatici, per poi tentare un’ultima e disperata fuga verso il fondo, non appena intravedono la barca. Anche i carangidi, incluse le piccole ricciole, non disdegnano i top water. Questi predatori, poiché la loro natura li lega maggiormente agli ambienti bentonici, dopo aver attaccato le nostre esche, si difenderanno puntando direttamente al fondo, in cerca di ostacoli in cui andare a rifugiarsi, nella speranza di liberarsi dell’esca appena addentata.


Come dicevo, il numero delle catture andrà scemando: gli inseguimenti si faranno più rari e i predatori si limiteranno spesso a seguire l’esca, scrutandola da vicino. Io cambio le armi.
È giunto il momento di utilizzare piccoli lipless sinking da recuperare lentamente, dopo averli fatti affondare, sfruttando il movimento “wobbling” per incuriosire i predatori.

Si tratta di esche poco utilizzate, che sono invece molto efficaci, insieme a minnow e jerk, nella ricerca dei pelagici attraverso gli strati d’acqua sotto la superficie. Una volta esaurite le risorse in superficie e a mezz’acqua, la mia ricerca si sposta verso il fondo seguendo gli spostamenti dei predatori.

 

Qui entra in gioco l’artiglieria pesante: vibration lures di metallo, casting jigs, bucktails e anche della gomma montata su testine piombate adeguate alla profondità che devo raggiungere.
E’ una situazione nella quale l’utilizzo di un ecoscandaglio, magari con tecnologia “Chirp” ci aiuterà a individuare il tipo di struttura sommersa e a che quota staziona il branco, soprattutto se si tratta di piccole ricciole.
I pesci sono oramai sospettosissimi, hanno imparato il ritornello ed è necessario giocare sempre più d’astuzia. Per qualche straordinario motivo, essendo pesci gregari, riescono a comunicare tra di loro e ad allertare in qualche modo i compagni, che ancora non hanno provato l’acciaio degli ami.

Continuando a parlare di approcci “light”, non posso trascurare di dire il tipo di canne che preferisco utilizzare, per gestire queste tipologie di esche e per ridurre le slamate, che potranno essere anche numerose, in particolare con le lampughe, che attuano quel sistema di difesa di cui vi ho detto prima, fatto di evoluzioni, salti e fughe.
Canne rapide e sensibili, con una buona “schiena”, ma allo stesso tempo dotate di una vetta morbida, che le rende versatili e mi consentono di “lavorare” esche di superficie, jerk minnow e piccoli jigs. Per essere più precisi, dalla barca utilizzo canne da 3/8 di oncia all’oncia, con lunghezze che possono variare dai 7 piedi ai 7.7 piedi.

 Canne indicate per l’Ajing e la pesca della spigola; attrezzi che hanno la loro caratteristica principale nella morbidezza della vetta, perché con esse si insidiano pesci che hanno apparati boccali molto delicati, che vivono in corrente o tra la schiuma delle onde e che non esitano a sfruttare queste condizioni per trovare una via di fuga. Questo tipo di canne leggere, sensibili e in grado di assecondare le fughe dei predatori autunnali trova il miglior bilanciamento con mulinelli di taglia compresa tra la 2500 e la 3000. Mulinelli leggeri, ma soprattutto dotati di una buona frizione, fluida e facilmente regolabile. Dovremo mantenere il controllo anche di prede importanti con fili sottili.

A inizio stagione, all’arrivo dei primi esemplari, la mia combo preferita è la 3/8 di oncia da Ajing con un mulinello 2500 imbobinato con PE da 9 libre e come leader un buon metro di fluoro carbon da 6 libre, circa uno 0.22 millimetri di diametro. Per cimentarsi con i sistemi di difesa dei predatori in questione, negli spot che ho descritto, l’importanza di canne e mulinelli performanti con leader così sottili è fondamentale.

La stagione avanzerà, con essa la taglia dei pesci e quindi anche la mia attrezzatura aumenterà di potenza, come i libraggi dei PE in bobina e dei terminali.
Se avrete la sorte di imbattervi in una bella e combattiva lampuga, non dimenticate mai, nell’azione di recupero, di tenere la canna bassa, per limitare l’efficacia dei loro salti. La lampuga avverte che la trazione proviene dall’alto. Se questo non dovesse bastare, bisogna cercare di ridurre la tensione sul filo, allungando la canna in avanti ogni volta che la lampuga salta fuori dall’acqua nel tentativo di liberarsi dell’esca… Proprio come fanno i pescatori a mosca con i Tarpon!

Chiudo questo articolo parlando di barche, elemento indispensabile per questo tipo di pesca. Generalmente nello spinning dalla barca, dove la pesca è frenetica, l’ideale è avere a disposizione una barca open completamente aperta, senza T-top e coperture di vario genere, che possono essere limitanti nel lancio delle esche soprattutto se si vuole affrontare l’uscita in compagnia, con più pescatori. La pesca delle lampughe e dei carangidi in questo tipo di spot è comunque una pesca limitata nel tempo e per questa ragione non è indispensabile avere una zona d’ombra dove potersi riparare. Vi posso assicurare che l’adrenalina che si avverte, nel vedere i pesci inseguire le nostre esche di superficie e nei combattimenti spettacolari con attrezzature leggere, farà passare qualsiasi sensazione e bisogno di “ombra”, Vi basterà un semplice cappellino. Superfluo dire agli amanti del kayak fishing che la pesca di questi predatori, in questi spot, è una cosa bellissima.
Mi raccomando però: in ogni caso, quando si va per mare, la prudenza al primo posto!

 

autore: Vincenzo Muscolo
fonte: LA PESCA a MOSCA & SPINNING

Lascia un commento